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Ricchezze dormienti in Lombardia: vincolo alla crescita o meccanismo di autodifesa? Rovescala e San Giorgio di Lomellina tra i comuni con maggiore ricchezza dormiente pro capite

Quanto conta in Lombardia il fenomeno della “ricchezza dormiente”? Questo accumulo di liquidità, creatosi a partire dalla crisi economica, è stata un’occasione persa? Oppure, al contrario, rappresenta un fattore potenziale di sviluppo economico ancora inespresso?
A queste ed altre domande si propone di rispondere la ricerca condotta dal Centro sullo sviluppo dei territori e dei settori della LIUC Business School con il supporto di UBI Banca, volta ad analizzare la presenza sul territorio di ricchezze, monetarie e patrimoniali, inattive sul territorio.

La “ricchezza dormiente”, ossia non destinata ad usi produttivi, rappresenta un fattore potenziale di sviluppo economico ancora inespresso. Il fenomeno appare di assoluta rilevanza anche in Lombardia, nonostante si tratti della prima regione italiana e della seconda regione in Europa per capacità di generare valore aggiunto.

Questa la top 3 dei comuni con maggiore ricchezza dormiente pro capite: al primo posto Basiglio (circa 8.000 abitanti, in provincia di Milano), mentre al secondo e al terzo Rovescala (886 abitanti) e San Giorgio di Lomellina (1050 abitanti), entrambi in provincia di Pavia.

Gli alti valori di ricchezza dormiente registrati dalla provincia di Pavia sono il segnale che il territorio ha una maggior attitudine conservativa e scarsa propensione all’investimento in attività produttive. Uno dei fattori che maggiormente determina la propensione all’investimento del territorio è la sua cultura finanziaria. L’incidenza sul territorio di persone altamente istruite è ad essa fortemente correlata e, quindi, determina la spinta verso investimenti in attività produttive. In provincia di Pavia, dunque, a valori bassi sulla presenza di «talenti» si associa elevata ricchezza dormiente. Inoltre, la scarsa urbanizzazione del territorio non favorisce dinamismo e competitività.

Ma quali sono le ragioni di questa distribuzione dei flussi di ricchezza? “Prima di tutto – spiega Andrea Venegoni, ricercatore del Centro sullo sviluppo dei territori e dei settori – i flussi vanno riferiti alle dinamiche demografiche e reddituali della popolazione. Aree maggiormente popolate e con popolazione più giovane, caratterizzate, inoltre, da una miglior dinamica reddituale sono quelle che mostrano maggior spinta all’investimento, favorendo lo ‘sblocco’ e la ‘messa a reddito’ delle risorse monetarie e patrimoniali”.

In questi anni, è stato spesso veicolato il messaggio secondo cui un eccessivo aumento delle quote di ricchezza non consumate può essere inteso come fattore negativo per un’economia: ciò porterebbe ad una contrazione della domanda interna e dello sviluppo industriale (diminuzione degli investimenti).
Se si guarda alla teoria economica, invece, sembra essere vero il contrario: meno consumi si associano spesso a maggiori investimenti, quindi crescita della domanda e della produzione.
Può succedere, però, che non tutto il risparmio accumulato in un sistema economico venga riattivato sotto forma di investimenti, ma solo una frazione di esso. Quando ciò accade si viene a creare un accumulo di “risparmio dormiente”, che ha un effetto negativo sull’equilibrio economico, non contribuendo né alla crescita della domanda (consumi) né all’espansione dell’offerta (investimenti).

È, quindi, fondamentale per i territori riuscire a bilanciare la doppia esigenza di solidità da un lato e dinamicità economica dall’altro: “La chiave per garantire crescita economica senza troppo esporsi a shock esterni – spiega Massimiliano Serati, Direttore della Divisione Ricerca della LIUC Business School – risiede, dunque, nel trovare il punto di equilibrio ottimale tra accumulazione di ricchezza e spinta all’investimento. I risultati dimostrano, infatti, come i comuni dove si è ‘risparmiato di più’ così come quelli dove si è investito, invece, quasi tutta la quota di ricchezza accumulata mostrino le performance meno brillanti in termini di resilienza e di attrattività di impresa”.
Questi risultati sono stati ottenuti partendo dalla misurazione di quale sia l’entità di questi patrimoni dormienti sul territorio, per poi analizzarne le determinanti e l’impatto sulle condizioni economiche dello stesso, come sempre adottando un focus di analisi micro-territoriale.

Oltre alle macro-evidenze già citate, a livello comunale è possibile riscontrare come ci sia stato un accumulo di capitali non destinati ad attività produttive nelle province di Varese, Como, Lecco, Sondrio, Brescia (soprattutto nell’area del Garda) e Pavia. L’area centrale che comprende le province di Milano, Bergamo e Cremona, sconfinando a sud-ovest ed includendo la provincia di Mantova, mostra una dinamica di investimento che è rimasta attiva nonostante la prolungata contrazione del ciclo economico.